James G. Ballard: Tutti i racconti, vol.1 (seconda parte)

Dopo la prima (che vi invito a leggere), ecco la seconda parte della mia minirecensione del primo volume dei racconti di Ballard.

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  • L’ultima pozzanghera. Un mondo arido, una pozza d’acqua, l’ultimo pesce che vi dimora. Probabilmente uno dei racconti più tristi dell’intera raccolta e di tutta la produzione ballardiana.
  • L’uomo sovraccarico. Più che sovraccaricarsi, il protagonista di questo racconto si “scarica” di dosso il mondo intero, spogliando le forme del loro significato, ritrovandosi circondato da figure senza identità. È davvero molto difficile da descrivere: il protagonista stesso paragona la sua facoltà agli effetti della mescalina. Personalmente, al di là di possibili esperienze con allucinogeni, ritengo che l’idea alla base di questo racconto sia originata anche e soprattutto dagli effetti di tecniche di meditazione.
  • Il signor F. è il signor F. Vi siete mi chiesti come sarebbe stato Il curioso caso di Benjamin Button se lo avesse scritto Ballard? Ecco, questa è la risposta.
  • Billennio. Torna una città immensa, ma stavolta, invece che indagarne i limiti (come in Città di concentramento nella prima parte) la narrazione si focalizza sul problema del sovraffollamento. Una vena di humor nero pervade il racconto, soprattutto nel finale.
  • L’assassino gentile. Classico paradosso temporale. Uno dei pochi racconti di Ballard che non abbia molto di memorabile, benché il tema stesso sia portato avanti senza alcuna banalità.
  • I pazzi. In un mondo in cui, in nome della libertà di stare male, esercitare la professione di psichiatra è reato, come si fa a chiedere aiuto? Ma soprattutto: come si fa a negarlo?
  • Il giardino del tempo. Praticamente un fantasy, caso rarissimo in Ballard. In una villa, un giardino i cui fiori, una volta colti, rallentano l’avanzata di un esercito furiosi che monta all’attacco dell’ultima nobiltà. Probabile allegoria di qualcosa che mi sfugge, ma comunque godibile.
  • I mille sogni di Stellavista. A Vermillion Sands è di scena, stavolta, l’architettura; e torna il tema dell’Opera d’Arte che si ribella. Anche su questo racconto, come per Le voci del tempo, ebbi qualcosa da dire.
  • Tredici verso Centauro. Una missione si dirige verso il Centauro, in un lungo viaggio; ma non tutto è come sembra, e l’equipaggio potrebbe essere all’oscuro di qualcosa di molto, molto importante. Ottima variazione sul tema della verità, della concezione della realtà che ci circonda; molto dickiano, in un certo senso, benché riecheggi qualcosa di Universo/Orfani del cielo di Heinlein.
  • Passaporto per l’eternità. Racconto satirico, pervaso da uno humor che sa essere anche opprimente, tanto quanto le agenzie di viaggi che ossessivamente propongono i loro pacchetti ai protagonisti incerti su dove e come passare le ferie.
  • Prigione di sabbia. Qui appare un tema che tornerà anche in successivi racconti di Ballard: quello delle navicelle abbandonate, visibili in orbita attorno alla Terra, contenenti i corpi degli astronauti morti nelle missioni non andate a buon fine. In questo racconto, in una zona contaminata, una delle vedove si prepara all’allineamento periodico delle sette capsule fra le quali c’è anche suo marito.
  • Le torri d’osservazione. Torri di osservazione sono appese nel cielo: ci guardano, ci spiano, ci controllano… Ma nessuno sembra farci caso. Soffocantemente inquietante.
  • Le statue canore. Rieccoci per l’ultima volta (in questa raccolta) a Vermillion Sands, stavolta ad unire le statue musicali de Il sorriso di Venere a una malinconica figura femminile prossima all’Aurora di Studio 5, Le Stelle. Breve e poetico.
  • L’uomo al 99° piano. Un breve racconto sull’ipnosi, con un uomo che cerca di sbloccare la sua incapacità di giungere al 100° piano senza rendersi conto di essere soltanto una pedina di qualcun altro.

Prossimamente, il Volume 2.

Il futuro, inutile dirlo, è un posto pericoloso da frequentare, fittamente minato e con la tendenza ad azzannarti i polpacci a tradimento mentre ti ci inoltri.

(Introduzione)