“Le intermittenze della morte”, di José Saramago

Dopo Cecità, torno a leggere e quindi recensire un altro lavoro del premio Nobel Saramago: Le intermittenze della morte.

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Trama e forma

Il romanzo è diviso in due parti.
Nella prima, in un paese non specificato, tutte le persone smettono di morire. Il che può sembrare un’ottima notizia, ma va a scontrarsi con l’evidenza di un progressivo aumento della popolazione, a cui si somma il fardello di chi, in coma o ferito troppo gravemente, dovrebbe trapassare e invece continua ostinatamente a pesare sulla propria famiglia.
Nella seconda parte, seguiamo la morte (con la minuscola, ci tiene) in persona, che, rimessasi al lavoro, si trova immediatamente in difficoltà: c’è un violoncellista solitario che non ne vuol proprio sapere, di morire.

I personaggi

Come già in Cecità, nessun personaggio viene chiamato per nome; perfino la morte pretende di essere chiamata con la minuscola, svincolandosi in tal modo dall’eventualità di avere un nome proprio.

Nella prima parte, alcuni personaggi singoli racchiudono in sé delle allegorie di intere categorie di persone.
Il principale è senza dubbio il primo ministro, politico capace, estremamente capace, fin troppo capace, circondato da persone che si complimentano per quanto è capace ad ogni paragrafo.
Alle sue spalle c’è la famiglia reale, un’immagine di facciata del tutto priva di qualsiasi influenza politica.
Il direttore della televisione (sic), conscio del potere del media che gestisce, è prono ai voleri del governo.
Ci sono però anche delle vere e prorie categorie: la maphia (col ph), sempre pronta a sostituire lo stato dove questo è assente; le imprese di pompe funebri e i fabbricanti di bare, chiaramente preoccupati dell’andamento degli eventi; le famiglie che vivono ai confini della nazione, che trovano presto – quasi con saggezza e semplicità contadina – il modo di gabbare lo sciopero della morte.

Nella seconda parte, invece, i personaggi si limitano sostanzialmente alla morte e al violoncellista, benché siano entrambi accompagnati dai loro rispettivi comprimari: un cane e l’iconica falce (che a volte parla, a volte no).

Tematiche (la parte più difficile)

Benché l’idea di mettermi a sviscerare e pensare di comprendere Saramago così su due piedi poss intimorirmi, provo comunque a dare un’idea generale di cosa parli effettivamente Le intermittenze della morte. Anche da questo punto di vista, le due parti differiscono radicalmente.

Nella prima, come forse si sarà dedotto dall’elenco dei personaggi, la fa da protagonista la satira sociale e politica: dalla prostrazione generale nei confronti del primo ministro alla posizione filogovernativa dei mass media, dalla scarsa importanza della famiglia reale alla connivenza con la criminalità organizzata, fino alla fredda esecuzione dei principi economici incarnata dall’industria funeraria. Tutti elementi che concorrono a ritrarre un stato non specificato, e che in quanto tale può fungere da simbolo per qualsiasi paese: è ovvio che Saramago avesse in mente il Portogallo, ma sfido chiunque a non vederci l’Italia.

Nella seconda parte, si può dire che ci si sposti dal collettivo all’individuale: tutte le tematiche sociali sono abbandonate, e dai rapporti fra le istituzioni si passa ai rapporti fra le persone. E qui l’autore indaga come si costruisce una relazione, e soprattutto il valore della compagnia: cosa vuol dire essere soli, al punto che l’unico nostro conforto è un cane o una falce? E cosa succede, quando i due soli si incontrano e cessano di esserlo?

Lo stile

Come già scritto in occasione della recensione per Cecità linkata in apertura di questo post, il lettore che non è mai entrato in contatto con Saramago va avvisato della sua prosa: enormi paragrafi in cui si susseguono frasi che andrebbero separate con molto più che le semplici, onnipresenti virgole; discorsi diretti privi di virgolette, introdotti solo dalla maiuscola; continui ammiccamenti al lettore da parte del narratore onniscente, che sembra partecipe degli avvenimenti pur rimanendone in realtà fuori.
Può sembrare straniante, ma assicuro che bastano un paio di pagine per entrare in sintonia con questa voce caratteristica.

Giudizio finale

In tutta onestà, ho gradito molto più la prima metà, con il suo sarcasmo e il respiro corale dei personaggi allegorici, rispetto al gioco a due della seconda sezione. Ciò non toglie che Le intermittenze della morte rimanga un libro estremamente interessante, che – come abbiamo visto – offre spunti su più fronti, e che quindi non solo rinforza il mio interesse nell’approfondire la scoperta di Saramago, ma che mi sento anche sicuramente di consigliare.

Buona lettura!

Un pensiero riguardo ““Le intermittenze della morte”, di José Saramago

  1. Che caso, ho finito di leggerlo giusto una settimana fa! Sul giudizio finale concordo con te. La prima parte è fantastica, ironica e pungente, tocca (non troppo) di sfuggita temi come l’eutanasia e le assurdità della burocrazia. La seconda, più tenera e umana, rischia di essere un po’ scontata, con un finale quasi pacchiano (ma è un finale? Sembra buttato lì come quando finisce il tempo e devi consegnare il tema in seconda liceo).
    Detto questo, è sicuramente un’opera che merita e che si presta a diversi livelli di lettura

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